L'intervento di papa Francesco

Risposte al Tavolo Disarmo

LA PACE VA SPERIMENTATA

LA PACE VA SPERIMENTATA

Sergio Paronetto, vicepresidente di Pax Christi Italia: «Pochi versi di una persona molto attiva nelle nostre Arene precedenti: Giulio Girardello, prete missionario, poeta, amore di Giulio Battistella, altro testimone e promotore delle Arene. Vorrei però premettere in 30 secondi, Papa Francesco, una cosa. Vorrei dirti, a nome di tanti, il nostro grazie per il tuo coraggio. Vorrei dirti che ti siamo vicini, che vogliamo aiutarti perché aiutando te aiutiamo noi stessi, aiutiamo il mondo a diventare umani, e siamo corresponsabili camminando accanto a te.

Giulio diceva: “Solo da mani piantate nel sentimento del mondo nasce la pace. Io ho appena due mani e il sentimento del mondo per fare pace”».

Andrea Riccardi, fondatore nel 1968 della Comunità di Sant’Egidio: «Io vorrei dire che essere qui sembra un sogno: un popolo, con Papa Francesco, che crede nella pace. Però, il mondo è diverso, il mondo è molto diverso perché ci sono guerre, e lo sappiamo: guerre aperte, e ci siamo messi dalla parte delle vittime che sono tante. Ma anche in questo mondo c’è un’assenza di pensieri e di disegni di pace che frustrano le speranze della fine della guerra di tanti popoli. Vede, Papa Francesco, la pace è bandita come un’ingenuità, anzi, come dice Lei: la pace è diventata una parolaccia, e questo è estremamente triste perché la pace è la vita di tutti, la pace è una grande benedizione. Ma l’alternativa c’è: dobbiamo confessare che molti, uomini e donne comuni, si sentono impotenti, non sanno cosa fare, e l’impotenza genera indifferenza e l’indifferenza diventa poi, alla fine, anche consenso, complicità a decisioni sbagliate, a sentieri di guerra, il che è davvero drammatico. Allora, quello che volevamo chiederLe è: come essere, in questo momento così complesso, artigiani di pace, mediatori anche di fronte ai conflitti vicini e lontani? Grazie».

 

La risposta di papa Francesco: «Grazie. Grazie delle vostre riflessioni. Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede. C’è un detto spagnolo che dice: “L’acqua ferma è la prima a marcire, a decomporsi”. Le persone ferme sono le prime ad ammalarsi.

Nella nostra vita, nelle nostre realtà, nei nostri territori saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti. Davanti a questo non si può stare fermi: tu devi fare un’opzione, tu devi essere creativo. Un conflitto è proprio una sfida alla creatività. Da un conflitto mai si può uscire, primo, da soli: da un conflitto mai uscirai da solo, ci vuole la comunità, ci vuole l’aiuto sia della famiglia, degli amici, ma mai da un conflitto si può uscire da soli. E, secondo, da un conflitto si esce soltanto “da sopra”. Altrimenti andrai giù. Il conflitto ha qualcosa di labirintico: da un labirinto tu non puoi uscire da solo, ci vuole almeno il filo, quello di Arianna, che poi ti aiuterà a uscire. E da un conflitto si esce per essere migliori, “da sopra”. Da un conflitto non si può uscire con anestesia, no, da un conflitto è necessario uscire con realismo: io sono nel labirinto; dobbiamo essere capaci di dare un nome ai conflitti, prenderli in mano e uscire, uscire da sopra e uscire accompagnati, almeno con il filo. Nella nostra vita saremo sempre chiamati a fare passi avanti con i conflitti, a dialogare con i conflitti.

Spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione. No! Li ignoro, li nascondo, li marginalizzo. No. Questa è una bomba a orologeria. Così facendo amputo la realtà di un pezzo scomodo ma anche importante. Sappiamo che l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere, di frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti. E questo lo vediamo anche nella politica, nella società. Quando nella politica, qualsiasi politica, si nascondono i conflitti, questi scoppiano dopo, e scoppiano male. Non c’è l’armonia. Né in famiglia né nella società si possono nascondere i conflitti. Per questo, quando ci sono problemi in famiglia, dobbiamo parlarne per chiarirli. E quando ci sono problemi nella società, dobbiamo condividerli per risolverli. Ma da soli non si esce.

Un’altra risposta dal fiato corto è quella di cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco, e questo è suicidio, perché si riduce la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Oggi il Vescovo mi ha fatto vedere l’atto di nascita di un grande, Romano Guardini, che è nato qui a Verona. Lui diceva che sempre i conflitti si risolvono su un piano superiore, perché così i conflitti si trasformano in lievito di nuova cultura, di nuove cose per andare avanti. L’uniformità è un vicolo cieco: invece di andare avanti si va sotto; l’uniformità non serve, serve l’unità, e per raggiungere l’unità bisogna lavorare con i conflitti. Quando si ha paura nei confronti della pluralità, possiamo dire che quella famiglia, quella società psicologicamente e culturalmente si suicida.

Il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura: benvenuti, per risolverli. Non averne paura. Non temere se ci sono idee diverse che si confrontano e forse si scontrano. In queste situazioni siamo chiamati a un esercizio diverso. Lasciarci interpellare dal conflitto, lasciarci provocare dalle tensioni, per metterci in ricerca: come risolvere, come andare alla ricerca dell’armonia. Questo è un lavoro che noi non siamo abituati a fare: eppure è la ricchezza, è la ricchezza sociale, questo, sia della famiglia sia della società. Ci sono dei conflitti? Andiamo, parliamo dei conflitti, confrontiamoci per risolverli. Per favore, non avere paura dei conflitti, siano conflitti famigliari, siano sociali. Ed è chiaro che se io non ho paura del conflitto, sono portato a fare il dialogo. E il dialogo ci aiuta a risolvere i conflitti, sempre. Ma il dialogo non è arrivare all’uguaglianza, no, perché ognuno ha la propria idea; ma ci fa condividere la pluralità. Il peccato dei regimi politici che sono finiti nelle dittature è che non ammettono la pluralità; e la pluralità è nella società più grande come in famiglia: la nuora con la suocera – bella cosa da risolvere, no? –, ma quel conflitto familiare va risolto come va risolto un conflitto mondiale. Dobbiamo imparare a vivere con i conflitti: quando i figli adolescenti incominciano a chiedere cose che non siamo abituati a dare loro, c’è un conflitto familiare: ascoltarli, dialogo. Papà che dialoga con i figli, mamma che dialoga con i figli, cittadini che dialogano tra loro… Dialogo. E i conflitti ti fanno progredire. Una società senza conflitto è una società morta; una società dove si nascondono i conflitti è una società suicida; una società dove si prendono i conflitti per mano e si dialoga è una società di futuro».